giovedì 4 febbraio 2010

giovedì.

Quando mi tocca fare la doccia al mattino, è dura. E dire che è una mia scelta. La sera la doccia non mi piace. Mi sembra di "rovinare" un buon lavoro fatto. Tutta quella cura nell'asciugarmi i capelli: distrutta da sette ore intensive di cuscino! Quindi questa mattina, prima ho preparato il caffè e poi sotto la doccia. Sono uscita a testa bassa, perché il freddo e il grigio picchiavano forte, non riuscivo quasi a tenere gli occhi aperti. Il cielo era una nuvola di fumo. Nel tragitto ho visto una ragazza che piangeva. Questo capita di frequente a Torino. Le ragazze piangono. Si mettono le cuffiette, si arrotolano la sciarpa al collo. E piangono mentre camminano per strada. Cerco sempre di guardarle negli occhi, per dimostrare la mia solidarietà, per farle uscire per un secondo dalla solitudine di quel gesto disperato che è piangere camminando per strada di prima mattina. E così ho fatto con questa ragazza. Che ho soprannominato Daniela. Lei ha ricambiato lo sguardo, facendo no con la testa. Come per dire: no no, non è poi così grave. Oppure: no, no, non puoi capire perché io stia piangendo in questo modo.
In ogni caso, sono arrivata alla mia postazione. Ascensore, reception, porta. Il primo nome che ho inserito questa mattina, scritto con una calligrafia sicura ma ancora giovane, sporcato dentro l'alone di una goccia che poteva benissimo essere una lacrima ormai asciutta, per una strana coincidenza, era proprio: Daniela.

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